Ciro è sul letto ancora tutto sudato, le lenzuola sono umide e stropicciate, dei lunghi capelli neri sparsi un po’ ovunque sembrano dei serpenti che popolano l’inferno di quella camera ancora afosa. Guarda il soffitto come se ci fosse la proiezione di quanto successo fino a mezz’ora prima. Si gode la beata solitudine post orgasmo. Il profumo di Gautier è ancora sparso sui cuscini, sulla pelle, persino sulle pareti. Con la mano destra porta una Merit alla bocca e prova a fare dei cerchi con il fumo. Con l’altra si accarezza gli addominali e sistema meglio il preservativo ancora pieno sul cazzo a riposo. L’orologio sul comodino indica le due passate. Finita la sigaretta si alza per andare a pulirsi. Per poi concedersi la migliore delle dormite. Non ha il tempo di fare nulla che suonano il campanello. Si sciacqua alla svelta, prende dei pantaloncini e va verso la porta.

«Chi è?» 

«Apri, sono io.»

Ciro indurisce la mascella e butta fuori un improvviso accumulo di fiato. Fa qualche passo all’indietro.

«Che ci fai qui a quest’ora? Tornatene a casa, Mari’» dice con voce dura.

«Dobbiamo parlare.»

«Non credo… e non mi piace questo blitz a quest’ora.»

Maria suona ancora il campanello, prima di tirare un calcio contro la porta. L’uscio trema sotto l’impatto.  

«Cazzo, Ci’, apri!»

Merda. Ciro si guarda intorno, cercando qualcosa con cui difendersi, ma l’unica cosa che riesce a fare è tirare un pugno contro il tavolino. Non ci voleva. Proprio adesso, no, non ci voleva. Ma perché non se ne va a fanculo con le sue amiche del cazzo?

«La smetti demente che svegli tutto il palazzo.»

Ciro spalanca la porta accentuando ogni movenza. Sa di essere in vantaggio e ha tutte le intenzioni di sfruttare questa cosa a dovere. Le guerre psicologiche lo esaltano.

Maria resta bloccata sulla porta, il viso provato, gli occhi sgranati e con il contorno nero della matita sbavata. Lo guarda senza riuscire a proferire parola. 

«Entra! Muoviti!» dice Ciro indicandole una sedia attorno al tavolo. 

«Perché fai così?» chiede Maria facendo un timido passo in avanti.

«Perché sono le due di notte e voglio dormire.»

Maria fa un respiro profondo e si siede dove Ciro le aveva indicato. Abbozza un sorriso. 

«Scusami se sono piombata qui. Ma è tutta la sera che non fai accessi e sono andata in tilt.»

Ciro scuote la testa. La guarda dritto negli occhi poi agita le braccia. 

«Quindi sei qui perché non ho fatto accessi?»

«Sono una stupida, lo so… faccio mille pensieri e non riesco a mantenere la lucidità…» Maria si strofina gli occhi con il palmo della mano, «non capisco come si possa buttare nel cesso una storia di sette anni come la nostra, per una stronzata.»

«Non mi pare una cazzata baciare un tizio in discoteca.»

Maria rivolge lo sguardo al pavimento. Manda giù l’amaro dell’accumulo di saliva, delle lacrime le bagnano le guance.

«Non ricominciare ti prego… ho fatto una cazzata…»

Ciro poggia le mani sul tavolo e avvicina la testa alla fronte della ragazza fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.

«Che… oggi non dici la filastrocca? In sette anni può capitare un errore, era un addio al nubilato eravamo tutte su di giri, bla bla bla…»

Maria non regge gli scimmiottanti gesti a pochi centimetri dalla sua faccia, allunga una mano e gli copre la bocca. Ciro le dà una spinta con entrambe le braccia, la donna va con la schiena all’indietro, per poco non cade, poi porta le mani alle orecchie.

Ciro alza il braccio con la mano aperta. A voglia di sfogare la rabbia contro quel viso. Quell’invasione inaspettata mette in discussione il suo controllo e non è pronto a permetterlo. I suoi genitori amano Maria e sarebbe complicato dover dare spiegazioni. Si blocca. Fa qualche passo di lato e si siede sul divano. Il silenzio della stanza è riempito solo dal pianto di Maria, che resta immobile con le braccia poggiate sul tavolo e la testa poggiata sulle braccia.

«Smettila cazzo. La dignità che fine ha fatto?» dice Ciro dopo troppi secondi di vuoto.

Maria alza la testa e con la manica della maglietta si asciuga il viso. Poi a piccoli passi si avvicina a lui. La testa è china, gli occhi ancora umidi guardano Ciro in attesa di un gesto di vicinanza. Ciro resta bloccato con le mani sulle ginocchia, gira lo sguardo verso la finestra chiusa. 

«Posso avvicinarmi?» chiede la donna sottovoce. 

Il silenzio assenso di Ciro le basta per accovacciarsi sul pavimento tra le sue gambe. Maria poggia la testa sull’interno coscia di lui e inizia ad accarezzargli il ginocchio.

«Mi sei mancato queste notti» gli sussurra continuando a muovere la mano su e giù lungo l’interno gamba. Poi avvicina le labbra e inizia a baciucchiare la pelle liscia, di tanto in tanto con dei colpetti di lingua cerca di provocare in lui dei fremiti che possano sapere di apertura.

Ciro è teso, ma la lascia fare. La mano di Maria si sposta verso le zone sensibili.

«Troppo tempo che non scopiamo. Ti prego lasciati andare…» dice Maria mentre si avvicina di più e gli siede in braccio.

«Non risolviamo nulla così» dice Ciro alzandosi di colpo.

«Non mi frega di risolvere, voglio sentirti. Poi mi mandi a fanculo lo stesso se vuoi.»

Maria si alza e abbraccia Ciro da dietro, con le mani percorre il suo petto muscoloso. Ciro si volta poggiandosi sul tavolo, lei si avvicina e inizia a baciargli le labbra. Lui risponde al bacio. Lei fa un passo all’indietro e lascia cadere il vestito sul pavimento, restando con un perizoma lilla. Afferra la mano di lui e la porta al contatto con il suo sesso. Ciro sente gli umori dilaganti di piacere. Sorride.

«Toccami il clitoride come solo tu sai fare…» gli sussurra Maria all’orecchio.

La donna continua a baciargli le labbra, poi il mento, scendendo fino al collo.

«Hai cambiato profumo? Mi piace… perché non mi porti in camera…»

Ciro si blocca di colpo, toglie le mani dalle mutande di lei e l’allontana dal suo petto. Maria non accetta il rifiuto e prova a stringerlo attorno alla vita. Poggia le ginocchia a terra e tenendolo ancora stretto a sé cerca con la bocca di afferrargli il pene.

Lui la sposta di nuovo liberandosi dalla morsa.

«“Toccami il clitoride come solo tu sai fare…” Perché chi altro te lo tocca?» dice Ciro con tono dritto.

Maria guarda Ciro impalata. Come se da terra fossero uscite delle radici che le hanno ancorato i piedi al pavimento.

«Era per dire. Non appellarti a ogni singola parola.»

Ciro non replica, la guarda in silenzio. Abbassa gli occhi quando lei inizia a piangere. 

I due sono a mezzo metro uno dall’altra e sembrano incapaci di muoversi. 

La suoneria dell’iPhone poggiato sulla cucina scioglie i nodi. Maria fa due passi veloci per afferrare il cellulare. Ciro riesce ad anticiparla. 

«Chi cazzo ti chiama a quest’ora?» chiede Maria provando a strappargli il telefono da mano.

«Non credo che siano affari tuoi in questo momento.»

Maria spinge Ciro contro il tavolo e prova a prendere il cellulare da dietro la schiena di lui.

«Fammi vedere chi è… qualche puttana dell’ufficio?»

Ciro con la mano libera tiene a distanza la donna. Poi infila l’iPhone, che ha appena smesso di suonare, nella tasca di dietro del pantaloncino. Afferra Maria e le blocca le mani per contenerne l’incedere. Non può offrire la verità su un piatto d’argento. Non può perdere il vantaggio. Non può condividere la colpa. Lei non placa l’ira e continua a dimenarsi per ottenere un vantaggio fisico.

«Te vuo’ sta ferm!» urla Ciro ripetutamente.

«Dammi il telefono!»

Maria afferra il braccio di Ciro e gli dà un morso. I denti della donna quasi si toccano attraverso la carne. Lui urla e tira via il braccio. Vorrebbe ammazzarla. Mettere fine alla disputa nell’unico modo che ritiene in quel momento possibile. Poi barcolla, agita il braccio. Cade sul pavimento. Bestemmia. Sì, la vorrebbe esanime. Lei lo afferra per i capelli dietro la nuca e con l’altra mano gli sfila il cellulare dalla tasca. Fa due passi intorno al tavolo per allontanarsi.

Mentre Ciro prova a rincorrerla lei prova a digitare il codice di sblocco.

«Da quando hai cambiato password?»

«Marì, dammi il telefono che stasera va a finire male!»

«Che fai mi metti le mani addosso? Che me ne fotte, peggio di così non può andare.»

I tentativi di sbloccare l’iPhone da parte di Maria falliscono. Dopo qualche secondo arriva una notifica di un messaggio Whatsapp.

Bella idea la serata karaoke… Dobbiamo rifarlo!!! Cmq sono a casa.

Maria resta ferma a leggere il messaggio, si accorge dalla foto profilo che il mittente è Fabrizio, uno dei loro migliori amici. Ciro fa un balzo e gli strappa il telefono di mano.

«Mo vattene a fanculo!»

Maria prende il vestito dal pavimento. Lo indossa. Poi si avvicina a Ciro e gli dà un bacio sulla guancia. La testa è bassa, così come le spalle e l’umore. Mentre è quasi alla porta si ferma. Come se attendesse un qualsiasi gesto di Ciro sul quale appigliarsi. Ma lui resta muto. 

Ciro sente il rumore delle lacrime. Forse in altri momenti avrebbe ceduto alla tenerezza della sua piccola donna correndo a confortarla. Ma sentiva il bisogno di continuare a proteggersi. I pianti passano, le verità restano. Maria alza e abbassa le spalle sottolineando la rassegnazione. Poi fa un mezzo passo avanti. Poi senza voltarsi e con la voce rotta rompe lo stallo.

«Mi dispiace di tutto, dell’errore, dell’atteggiamento e della scenata. Ero certa che ti eri portato qualcuna a casa e non potevo accettarlo. Dovevo prenderti per dimostrare a te e a me che sei sempre mio…»

Ciro guarda Maria andarsene via oltre la porta senza fare niente. L’ha scampata bella, ma non riesce a godere del risultato. Sa di non poter gestire per sempre la situazione in quel modo. È pericoloso e deve decidere cosa fare, ma ovviamente non prima di concedersi una bella dormita.

Si mette a letto, poi prende il telefono.

Buonanotte Fa’! Sì, dobbiamo rifarlo, ho ancora voglia del tuo microfono…