Quando Giuseppe vide la Peugeot rossa di sua cognata parcheggiata davanti al portone di casa, decise di farsi qualche altro chilometro in bici. Affondava con forza i piedi sui pedali, come se nella distanza tra suole e asfalto ci fossero varie facce da schiacciare.

“Dopo questa giornata di merda, ci mancava il supplizio finale” pensò, mentre si sollevava dal sellino per incrementare la frequenza delle pedalate.

Quando rientrò di nuovo nella sua strada, la macchina era ancora lì. Non poteva più temporeggiare, quella rottura di palle andava affrontata. Attaccò la bici a un lampione, quindi controllò sull’iPhone le calorie bruciate. 

“Di questo passo perdo altri due chili entro venerdì.”

Grondante di sudore, aprì il portone e salì le scale. L’odore acido era talmente forte che nemmeno lui riusciva a sopportarlo. Prese la chiave di casa dal marsupio e la infilò nella toppa. Non riuscì a girare. Bussò alla porta e attese qualche secondo. La stanchezza e la convinzione che non fosse una semplice distrazione lo fecero spazientire. Iniziò a bussare ripetutamente il campanello senza sortire alcun effetto. L’ingerenza di Stefania nella sua stanca vita matrimoniale stava in quel caso superando ogni limite. Iniziò a dare dei calci alla base della porta.

«Che cazzo vuoi? Vedi di andartene!» urlò la cognata oltre la porta.

«Se permetti è casa mia… passami Chiara.» 

«Stavolta Chiara non ti ascolterà. Non la riempirai di palle come al solito.»

«Stefania, non farmi incazzare…» Giuseppe riprese a suonare con insistenza, «Chiara! Chiara! Di’ a tua sorella di aprire immediatamente. Altrimenti ne pagherai tu le conseguenze dopo. Quanto è vero Dio ti caccio di casa e poi vi denuncio!»

Giuseppe maledì sé stesso. Quella stronza di sua cognata. Non ne poteva più, non la sopportava più. Ma come osava intrufolarsi in casa sua e mettergli contro sua moglie? Con quale diritto?

Lo schiudersi della porta sul pianerottolo ne calamitò l’attenzione.

«Che succede?» chiese l’anziana vicina incuriosita dal trambusto.

Giuseppe placò l’irruenza di colpo e si voltò verso l’anziana ficcanaso. 

«Nulla signora Grimaldi, non si apre la porta. Credo dovrò chiamare i pompieri» rispose con tono pacato. 

Poi fece un ampio respiro. Sorrise alla signora Grimaldi e andò di corsa giù per le scale. Guardò l’orario sul display del cellulare. Sfogò sul passamano l’agitazione dovuta a quell’inaspettato imprevisto.  Non sopportava i fuori programma, quella sera men che mai. Saltò gli scalini di quattro in quattro e si affrettò a slegare la bici.

“Cazzo ho finito sti maledetti giga. Devo andare in un posto con Wi-Fi pubblico.”

Giuseppe imboccò un vicolo contro mano a tutta velocità, una berlina blu quasi lo investiva, ma nemmeno se ne rese conto. Vide l’orologio, mancavano tre minuti alle venti. Fece uno scatto degno del miglior Cipollini. Appena raggiunse il traguardo scese dalla bici al volo poggiandola in terra. Afferrò la borraccia e si sedette sul marciapiedi davanti un McDonald’s.

“Per fortuna la password è ancora la stessa!”

Appena ebbe la connessione diversi messaggi gli intasarono le notifiche. Lui aprì direttamente l’app di Tinder e seleziono la chat con Camilla. 

Non vedo l’ora di sentirti. Mi raccomando puntuale alle 20 online. Se ci sarai, ti ricompenserò come ti avevo promesso.

Giuseppe seduto per terra continuava ad asciugarsi il sudore dalla fronte con la manica della maglietta. Quella donna da qualche settimana gli faceva perdere il sonno e questo lo faceva sentire vivo. Si strofinò le mani sui pantaloni e puntuale le scrisse. Aveva pensato a quel momento tutto il giorno.

Non avrei mai mancato all’appuntamento. 

Inviato il messaggio fece un sorso d’acqua. Sputò il liquido brodoso non appena lo sentì in bocca.

“È buona per il bidet!”

La risposta di Camilla tardò ad arrivare. Giuseppe disattivò e riattivò la connessione. Poi un messaggio sul gruppo del fantacalcio lo convinse che il Wi-Fi funzionava. Si versò il contenuto della borraccia in testa. Una improvvisa brezza dal mare gli diede sollievo. 

Riaprì la chat: Camilla aveva letto il messaggio. Sentiva il cuore accelerare i battiti. Un’ansia positiva li solleticò il petto. 

Bravo piccolo. Ecco il tuo primo regalo di serata. 

Subito dopo il messaggio gli arrivò la foto di due seni nudi. Giuseppe sentì l’eccitazione crescere guardando quelle tette sode e perfette. Le areole erano molto grandi e i capezzoli irti. Non ebbe il tempo di scrivere alcun commento, che Camilla inviò un altro messaggio.

  • Ormai è un mese che ci sentiamo. Penso che sia arrivato il momento di vederci. 
  • Quando? – rispose Giuseppe con le dita tremanti. 
  • Stasera! Sono in vena di follie…

Giuseppe riaprì la foto dei seni. Con le dita accarezzò il display del telefono come se riuscisse a toccarla per davvero.  Camilla era una donna diversa. Intelligente e libidinosa. Il gioco d’attesa che lei aveva creato poi, gli procurava una tremenda assuefazione. Era un tossico e aveva bisogno di farsi. Immaginò il loro incontro. La possibilità di sfogare quelle voglie che con il tempo erano cresciute a dismisura. Desiderava oltremodo quella donna misteriosa capace di risvegliare i suoi sensi assopiti. Si sistemò i pantaloncini, divenuti di colpo troppo aderenti.

Cazzo, proprio stasera? Non posso andarci vestito così.”

L’ansia era tangibile nei gesti. Giuseppe si alzò e prese a camminare avanti e indietro lungo l’ingresso del fast food. Cercava di trovare qualche soluzione. Poi pensò che la prima cosa da fare era prendere tempo. 

Ok, dove?

A casa tua? Lo sai che io vivo ancora con i miei.

“Maledetto il giorno che sono diventato un pallista.” 

Si diede dei ceffoni sulla nuca. Poi fece un respiro profondo. Forse una soluzione c’era.

Io adesso sono ancora in ufficio. Mandami il numero di cellulare che appena sono a casa ti invio la posizione su Whatsapp.

Appena vide che Camilla aveva letto staccò la connessione.Si rimise in sella e andò alla farmacia Atripaldi, l’unica a fare servizio notturno nella sua zona. Comprò un pacco di Control Intense, del gel lubrificante e un anello vibrante della Durex. Da lì decise di raggiungere la casa di Marcucci, un collega single con la fama del latin lover. 

Si alzò sui pedali come se fosse alla tappa decisiva del giro d’Italia. Sulla collina del Vomero sentì la stessa adrenalina di quando vide alla tv Pantani imporsi sul Gran Sasso.

In via Morghen le case si somigliavano un po’ tutte. Chiuse gli occhi e provò a ricordare della volta in cui andò a prendere Mario Marcucci la sera della cena aziendale. La targhetta di marmo con il numero quindici lampeggiò nella mente come un’insegna luminosa. 

Davanti al citofono ebbe un momento di esitazione. Il pensiero delle tette di Camilla gli diede la giusta dose di coraggio. Scorse difilato l’elenco digitale dei nomi. Digitò il codice 1707.

«Chi è?» chiesero dall’altra parte del citofono.

«Mario?» chiese Giuseppe con voce rotta.

«Sì, sono io. Ma chi sei?» rispose l’uomo un po’ alterato.

«Giuseppe. Giuseppe Casagrande. Ti spiace se salgo un attimo?»

«Ciao Giuseppe. Io iniziò il turno alle 22, quindi tra poco scendo. Ma abbiamo tempo per un caffè.»

Giunto davanti la porta del collega, con il viso infuocato e i vestiti zuppi di sudore, Giuseppe pensò di essere impazzito. Si vergognò di quello che stava facendo al punto che stava per andarsene. Ma quando Mario aprì la porta, capì che era troppo tardi per dei ripensamenti.

«Hoy, che succede?» chiese l’uomo quando lo vide.

«La faccio breve. Lasciami casa, un paio di pantaloni e una camicia. Da domani ti proporrò per un aumento e ti metterò i turni che preferisci.»

«È Natale a luglio?!» chiese sorridente Mario, «vecchio volpone non voglio sapere che cosa hai in ballo…»

Mario diede una pacca sulla spalla di Giuseppe e lo invitò ad accomodarsi. Dopo un caffè e il tentativo da parte di Giuseppe di evitare troppe spiegazioni, Mario andò via con il viso felice di chi aveva fatto un buon affare.

Giuseppe aprì la chat con Camilla. Non aveva ricevuto il numero di telefono. Le scrisse allora l’indirizzo sulla chat e corse a farsi una doccia. Si sistemò alla meglio i pochi capelli rimasti e indossò gli abiti di Mario, che trovò troppo aderenti.

Dopo mezz’ora era pronto. La donna aveva letto, ma non aveva risposto. Rimase per un po’ a guardare il cellulare. Mentre la delusione si faceva spazio nella sua testa, suonò il campanello. 

Diede un’ultima occhiata allo specchio. Tiro dentro l’aria e iniziò a fare respiri corti. Guardò nello spioncino e vide una donna di spalle alta con i capelli biondi e lunghi. Aprì la porta e quando lei si girò Giuseppe rimase senza fiato.

L’unica cosa che riuscì a dire, mentre la donna si voltava, fu il suo nome, balbettato a mezza bocca.

«Ste… Stefania?»